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venerdì 15 novembre 2013

Oltre 229mila gli immobili a destinazione commerciale e produttiva in Puglia

Sono più di 229mila gli immobili a destinazione
commerciale e produttiva in Puglia. Per una rendita catastale complessiva di
560 milioni di euro.
Il Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia ha elaborato il numero
totale di negozi e botteghe (accatastati, dall’Agenzia dell’Entrate, in categoria
C1), laboratori per arti e mestieri (C3), opifici e capannoni (D1) e
fabbricati adattati per esigenze industriali (D7).
In particolare, nella provincia di Bari, è concentrato il 40,3 per cento dei
negozi aperti in tutta la regione. Sono ben 58.510 su 145.307. Seguono il
Salento con il 20,6 per cento (29.955 rivendite), la Capitanata con il 15 per
cento (21.860), la provincia di Taranto con il 13,4 per cento (19.421) e quella
di Brindisi con il 10,7 per cento (15.561). Per una rendita catastale
complessiva di 227,6 milioni di euro.
Restringendo l’analisi ai soli capoluoghi, Bari conta 12.565 negozi, pari al
38,8 per cento del totale. Ci sono, poi, Taranto (6.567), Foggia (5.267
rivendite), Lecce (4.838) e Brindisi (3.160).
Riguardo ai laboratori per arti e mestieri, se ne contano 45.024 in
Puglia, di cui 14.331 nel barese e 13.289 nel Salento. Queste due province
rappresentano, da sole, oltre il 60 per cento degli immobili di categoria C3.
Seguono Foggia (6.318), Taranto (6.081) e Brindisi (5.005).
Gli opifici sono 30.032, di cui 12.067 hanno sede in provincia di Bari,
6.126 in Capitana, 5.550 nel Salento, 3.156 nel tarantino e 3.133 nel
brindisino.
I fabbricati adattati per esigenze industriali sono 8.805, di cui
5.132, pari al 58,3 per cento, costruito nel barese, 1.164 in provincia di
Foggia, 973 nel Salento, 912 a Brindisi e 624 a Taranto.
«L’indagine effettuata dal nostro Centro Studi regionale – dice il
presidente di Confartigianato Imprese Puglia, Francesco Sgherza – evidenzia
come, nonostante la durissima crisi economica, i laboratori e le botteghe
artigiane siano ancora capillarmente diffusi sul nostro territorio. Purtroppo,
però, la sempre maggiore tassazione che grava, paradossalmente, anche sugli
immobili strumentali, rischia di spazzare via migliaia di imprese. Come
calcolato dalla nostra Confederazione nazionale, infatti, il prossimo anno
l’impatto dell’Imu sugli immobili strumentali, unito a quello della Trise sui
rifiuti e servizi indivisibili, arriverà a 12,8 miliardi di euro: il 51,4 per cento
rispetto al 2011. L’effetto combinato – spiega – di questi nuovi tributi
annullerà, di fatto, i benefici di qualsivoglia altro sgravio o riduzione del costo
del lavoro. Si tratta – conclude il presidente – di una pressione fiscale
intollerabile e soprattutto iniqua: non possono equipararsi gli immobili
produttivi alle seconde case. I nostri laboratori sono la nostra prima casa».

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